Raccolta dal web e dalla stampa nazionale e locale di articoli che ci riguardano
I lavori di restauro del Chiesino
Poche settimane fa abbiamo avuto modo di rivolgere alcune domande a Mario Mùrino e a Gemma Orlandi della ditta Mùrino Srl, impresa che si occupa esclusivamente di
edifici vincolati (quindi sotto la tutela delle Belle Arti) e a cui è stato affidato il compito di recuperare la nostra piccola chiesa. Ecco qui i passaggi salienti della nostra conversazione,
certi che chiunque ami il Chiesino voglia essere informato sullo stato dei lavori.
CHI SIETE E CHE COSA FATE? Io sono Mario Mùrino, titolare dell’impresa Mùrino Srl; faccio questo lavoro da circa trent’anni e sono iscritto all’albo dei restauratori; Gemma Orlandi fa parte
del nostro team — composto da dodici dipendenti — ed è un tecnico del restauro, anch’essa iscritta all’albo dei tecnici restauratori.
CHE COSA NE PENSATE DEL NOSTRO CHIESINO DEL REDENTORE? È sicuramente interessante come realtà anche nella sua piccolezza. Come sapete, il Chiesino è accanto a una residenza che dei privati hanno acquistato e che in
origine faceva un tutt’uno con esso. L’impresa edile che sta curando la ristrutturazione e il recupero di questo edificio adiacente ha anch’essa seguito con il nostro aiuto le indicazioni della
Soprintendenza proprio perché il Chiesino è un bene vincolato. Il Chiesino ha delle importanti decorazioni al suo interno e si presenta particolare anche all’esterno. La struttura si compone di un unico ambiente, forse frutto
del riadattamento di una preesistenza architettonica. L’edificio ha un’unica navata con soffitto a volta; all’interno vi sono alcune decorazioni di carattere pittorico, tra cui l’immagine del
Redentore, a cui la piccola chiesa deve il proprio nome. Con il passare del tempo si è reso necessario un intervento di restauro conservativo per non perdere le decorazioni presenti e per consolidare le parti in pietra e
laterizio esternamente.
PER NOI MEDESI NATI IN QUESTO RIONE IL CHIESINO HA RAPPRESENTATO TANTO. RITENETE PERTANTO CHE QUESTO SIA SOLO UN FATTO EMOTIVO LEGATO ALLA MEMORIA O È
PROPRIO UN PICCOLO GIOIELLO? Ha una sua importanza proprio per la sua storicità. È qualcosa che avete ricevuto dalle precedenti generazioni ed è bello pensare di poterlo riconsegnare restaurato
a chi verrà dopo di voi. Gli anni passati poi lo rendono sicuramente di valore e le decorazioni sono di ottima fattura.
L’AVERLO ABBANDONATO PER ANNI PUÒ AVERE INFLUITO OPPURE E GIUSTO CHE IL TEMPO FACCIA IL SUO CORSO? Ogni cosa soffre l’usura del tempo, poi noi nel campo del restauro ci accorgiamo di quando negli anni sono stati fatti interventi non idonei con tecniche che in
alcuni casi hanno anche deturpato il bene. L’abbandono vero e proprio si ha quando non si fa più uso di un luogo, di un bene; diciamo che nel caso del Chiesino non ci sembra abbandonato: siete
infatti legati a questo luogo, si tratta perciò di conservarlo nel miglior modo possibile riportandolo alla sua bellezza originale con le sue caratteristiche architettoniche e
decorative.
QUALI TECNICHE PARTICOLARI, SE ESISTONO, STATE APPLICANDO? All’esterno si nota anche a occhio nudo la necessità di intervenire sugli intonaci, essendo alquanto ammalorati con dei distaccamenti in più punti. Sulla facciata
principale sono anche ammalorati degli elementi in pietra, cornici della porta di ingresso e della finestra. All’interno l’impianto pittorico si presenta ancora visibile, anche se bisognoso di un
intervento di accurata pulitura e di protezione e — ove necessario — di integrazione. Sopra l’altare l’immagine del Redentore a cui la chiesa è dedicata è di pregio e merita di essere recuperata.
Nelle parti laterali sono a secco; la patina anche di sporco accumulato nel tempo è talmente significativa che ha appiattito le finte profondità delle decorazioni. L’intento dell’intervento di
restauro è quello di ridare piena visibilità sia alle decorazioni che alle pitture presenti all’interno del Chiesino. Siamo certi che in fase di pulitura tutto potrà essere molto più
leggibile.
CHE TEMPI PREVEDETE PER ULTIMARE IL RESTAURO? Dopo che è stato fatto il progetto ed è stata ricevuta l’autorizzazione della Soprintendenza per intervenire c’è stato inizialmente un tempo di studio del
manufatto. Ci siamo dati un anno di lavoro, partendo dalla copertura — che anche recentemente ha subito dei danni a causa dei forti temporali che ormai si verificano frequentemente — per poi
passare agli intonaci esterni e alle decorazioni pittoriche dell’interno.
CON L’APPROSSIMARSI DELLA STAGIONE FREDDA PENSATE CHE POSSANO ESSERCI RIPERCUSSIONI SUI TEMPI LAVORATIVI? Si lavorerà di più all’interno, in modo da continuare il lavoro e finirlo nei tempi previsti.
CHE COSA POSSIAMO FARE PER DIRVI CONCRETAMENTE CHE STATE FACENDO ANCHE UN SERVIZIO CULTURALE AL NOSTRO PICCOLO BORGO ANTICO? Da subito con l’interesse di mons. Claudio Carboni, il vostro parroco, ci siamo accorti che tenete molto a questa realtà e ogni volta che ci si prende cura di
qualcosa che è di tutti ci si prende cura anche di ciascuno. È bello vivere il nostro tempo nei luoghi che ci hanno preceduto, conservarli e consegnarli a chi verrà e abiterà questa bella
città.
CHE COSA CI CONSIGLIATE PER IL FUTURO? TENERLO APERTO PIÙ SPESSO (RICORDO CHE SI APRIVA APPUNTO UNA SOLA VOLTA ALL’ANNO) OPPURE CONSERVARLO GELOSAMENTE? Un luogo deve anch’esso vivere e respirare come ciascuno di noi. Sarà sicuramente valorizzato dalla parrocchia e dai cittadini di Meda e pensiamo non solo da parte
di chi ha un legame con esso, ma magari anche da chi attraverso il restauro lo scoprirà come una realtà nuova e fino a quel momento sconosciuta. A seguito del restauro occorrerà poi una
manutenzione programmata nel tempo, proprio per evitare che in futuro si perda quanto ora si riesce a recuperare. Facendo un buon restauro vale poi la pena che questa realtà sia utilizzata, visitata e rimanga un angolo particolare nella città,
un luogo d’arte, di fede e di preghiera.
AVETE PREVISTO UNA RACCOLTA DI IMMAGINI PER SEGUIRE LO SVOLGIMENTO DEI LAVORI DALLO STATO INIZIALE AL RISULTATO FINALE? Accompagniamo sempre il nostro lavoro con una documentazione fotografica che peraltro ci chiede di fornire anche la Soprintendenza che ha autorizzato i lavori. Ogni
giorno documentiamo i piccoli e grandi interventi in modo da conservare passo passo tutto il percorso: dal progetto al risultato finale. Sul nostro sito www.restaurimurino.it si possono visionare tutti i nostri interventi, che vanno dal restauro architettonico e strutturale al restauro pittorico, al
lapideo e al laterizio, con alcune fotografie del prima e del dopo intervento. Nel nostro archivio digitale conserviamo migliaia di immagini di tutti i lavori realizzati che ci aiutano anche per
meglio operare sui progetti presenti e futuri.
Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa: nuovi intonaci per Dan Flavin
Mùrino Restauri, azienda con sede in via Jan Palach (quartiere Binda) protagonista di decine di restauri, ha completato nei mesi scorsi i restauri degli intonaci degli interni della chiesa
Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa,
Mùrino
Restauri, azienda con sede in via Jan Palach (quartiere Binda) protagonista di decine di restauri, ha completato nei mesi scorsi i restauri degli intonaci degli interni
della chiesa Santa Maria Annunciata in Chiesa
Rossa, in via Montegani, quartiere Stradera.
L’intervento si è reso necessario per riportare all’originario candore le pareti della chiesa, che ospitano
l’opera “Untitled” dell’artista minimalista Dan
Flavin.
L’opera, che fu l’ultima realizzata dell’artista americano, che morì il 26 novembre due giorni dopo averla completata, è composta da tubi al neon blu e verdi per la navata
centrale, rossi per il
transetto, oro per
l’abside. Nel transetto e nell’abside l’artista inserito delle file di neon a luce di wood.
L’installazione nella chiesa avvenne l’anno successivo grazie all’interessamento del Dia Art Foundation di New York e dalla Fondazione Prada.
L’architettura della chiesa – progettata da noto architetto milanese Giovanni
Muzio – e la disposizione dei neon rendono ben separate le varie zone di luce, visibili anche all’esterno nelle ore serali, la variazione dei colori rievoca il trascorrere del
giorno dall’alba al tramonto, con l’oro
posto nell’altare al centro della chiesa, come nei mosaici delle antiche chiese bizantine.
All’epoca dell’installazione diversi fedeli
protestarono non condividendo la scelta del parroco di allora Giulio Greco, che aveva lui stesso chiamato l’artista per realizzare l’opera, e rimpiangendo
gli affreschi precedenti, che si trovavano
nell’abside e nel transetto (vedi immagine sotto).
Nuova luce per l’opera di Dan Flavin in Santa Maria Annunciata a Milano
Un restauro necessario per la graziosa Chiesa di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa che, dal 1997 è illuminata permanentemente dall’istallazione “Untitled”,
l’ultima opera dell’artista minimalista Dan Flavin. Infatti, dopo anni, il candido colore degli intonaci all’interno della chiesa si era appannato e segni di infiltrazioni e un’umidità non consentivano più
una perfetta visione dell’istallazione luminosa.
Così in queste ultime settimane è stato eseguito dalla Mùrino Srl un ripristino degli intonaci e l’imbiancatura
della chiesa, in modo da rendere ancora più evidente l’installazione di Dan Flavin.
La Chiesa di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa si trova in Via Lodovico Montegani angolo via Neera, 24 e ospita un’installazione permanente d’arte che è pura
luce. Nel 1996, su invito del Reverendo Giulio Greco, l’artista americano Dan Flavin ebbe la geniale intuizione di un’opera, da intendersi come elemento di rinnovamento della Chiesa parrocchiale,
progettata dall’architetto milanese Giovanni Muzio negli anni trenta. Un anno dopo, in occasione della mostra dedicata a Flavin, morto nel novembre del 1996, la Fondazione Prada realizzò e
donò il progetto postumo di Santa Maria Annunciata in Chiesa Rossa, con la collaborazione del Dia Center for the Arts di New York e del Dan Flavin Estate. Vi lascio alle immagini e alla luce. La
Chiesa è a pochi passi dalla fermata M2 Abbiategrasso Chiesa Rossa.
La situazione prima dell’intervento, mostrava in modo evidente i segni delle travature portanti dei soffitti (sia piani che della parte a botte) apparse come
fantasmi col passare del tempo.
Mentre ora le pareti sono tornate bianche e senza difetti, di modo da diffondere la luce in maniera omogenea come da volere dell’artista. Ricordiamo che la Chiesa è
visitata da persone provenienti da tutto il mondo per vedere l’installazione permanente di Dan Flavin.
Restauro facciata principale Corso Monforte 43 - Milano
Milano, il volto «svelato» di corso Monforte 43: sulla facciata riappaiono sei figure femminili
di Fabrizio Guglielmini
Dai ponteggi spuntano le opere scampate ai bombardamenti. L’architetto Radice Fossati: «Ci siamo rifatti agli acquarelli
dell’epoca per un restauro il più possibile rispettoso»
Come una quinta teatrale su corso Monforte, la facciata del palazzo liberty al civico 43 ha svelato scene e personaggi nascosti per decenni dopo la
rimozione dei ponteggi per il recente restauro conservativo. Nascosti sotto il velo di tinteggiatura risalente a un intervento degli anni 80 sono riapparse (e riportate allo stato originale nelle
parti danneggiate) le sei figure raffiguranti le Belle Arti, opera di Osvaldo Bignami, a fianco delle tre finestre del quarto piano. Il palazzo risale al 1897 fu realizzato dall’architetto Enrico
Zanoni. Eclettico e raffinato, oltre che per le sei figure femminili e i ferri battuti di Alessandro Mazzucotelli, l’edificio è conosciuto dagli amanti dell’architettura per il gatto (sempre
opera del Mazzucotelli) in ferro battuto che campeggia sulle sbarre di una grata.
L’architetto Gaetano Radice Fossati racconta il recupero delle parti dipinte: «Del lavoro del Bignami molte porzioni
andavano recuperate ex novo per cui ci siamo rifatti agli acquarelli dell’epoca per un restauro il più possibile rispettoso». Parla a nome della famiglia proprietaria di Monforte 43 Guido Zanoni,
bisnipote del costruttore: «La casa era stata colpita dai bombardamenti delle Prima guerra e il tetto gravemente danneggiato, ma per fortuna la facciata non aveva al tempo subito danni. Oggi
siamo contenti di aver valorizzato di nuovo le caratteristiche del palazzo così come l’aveva concepito il mio bisnonno, fra l’altro progettista di altre case liberty milanesi risalenti allo
stesso periodo». Un capitolo a sé all’interno di questa facciata «narrante» merita la storia del maestro Mazzucotelli che si definiva con modestia «fabbro ornamentista» e che contribuì alle
decorazioni dei progetti liberty di Sommaruga, Pirovano e Stacchini, oltre ad essere chiamato da Gabriele d’Annunzio per il Vittoriale degli italiani a Gardone Riviera.
I lavori di Restauro della Chiesa di Sant'Andrea a Maggianico (LC)
LECCO – Sono in fase di ultimazione gli importanti lavori di restauro e restyling della chiesa parrocchiale di Maggianico dedicata a
Sant’Andrea.
Iniziati nel febbraio del 2021 su decisione del Consiglio Pastorale e del parroco don Ottavio Villa i lavori sono proseguiti e, stando a un
cronoprogramma di massima, termineranno prima dell’autunno.
“Ad onor del vero l’intervento di risistemazione della chiesa è iniziato nel 2008 con il rifacimento del tetto che presentava infiltrazioni, poi nel
2017 sono stati effettuati degli studi sulla volta dove erano presenti delle crepe e di conseguenza sono stati effettuati dei lavori strutturali – come spiegano dalla parrocchia di Maggianico – A
quel punto si è deciso di sistemare l’interno e l’esterno della chiesa“.I primi lavori hanno riguardato l’abside che presentava grossi
problemi di umidità così come la facciata ammalorata a causa di infiltrazioni di umidità dal basso: “Sia l’abside che la facciata esterna sono state ristrutturate attraverso l’utilizzo di una
muratura traspirante con la facciata che è stata anche ridipinta con un cambio di colore: non più rosa tenue ma ocra”. A
quel punto sono iniziati i lavori di restyling all’interno: “E’ stato tolto il vecchio intonaco e si sono pulite le decorazioni riscoprendo su tutte le lesene il marmorino di inizio 800 che
abbiamo deciso di recuperare. Nel frattempo è stato restaurato anche il coro ligneo“.
I lavori stanno proseguendo nel rispetto del cronoprogramma con la chiesa di Sant’Andrea, inaugurata nel lontano 30 novembre
del 1631, che tornerà presto a nuovo splendore. Un intervento importante per un
valore di oltre 300mila euro, affidato alla ditta Restauri Murino di Milano, mentre la parte progettuale è stata affidata all’architetto Fabio Mastrobernardino di Calolziocorte.
Avviato nel 2018 come prosecuzione di un più ampio intervento, che ha visto la riqualificazione del complesso
immobiliare settecentesco affacciante su via Santa Maria
alla Porta 9, è stato oggetto di una importante ristrutturazione ed è oggi in fase di
finitura.
L’intero intervento ha avuto come obiettivo la ricostruzione dei corpi di fabbrica bombardati durante l’ultimo
conflitto mondiale e mai risanati.
Il progetto è partito con il consolidamento delle murature esistenti in mattoni pieni mediante una
sottostruttura che ha comportato una campagna di scavi con una accurata indagine archeologica, data l’adiacenza del sito con il Palazzo Imperiale Romano di Via Brisa.
L’edificio è stato successivamente oggetto di un restauro accurato sia delle facciate in mattoni prospicenti
Piazza Gorani, sia di quelle sul lato corte con finitura ad intonaco.
Le scelte architettoniche e gli interventi di consolidamento e di efficientamento energetico sono stati
eseguiti avvalendosi delle migliori tecnologie presenti sul mercato, ma soprattutto prestando una grande attenzione al rispetto della struttura storica e delle caratteristiche originali
dell’edificio, giungendo ad un risultato di grande pregio architettonico.
ll progetto è stato sviluppato daArassociati, mentre lo studioNasini ArchitettieStudio Frova
Architettisi sono occupati unicamente della direzione dei lavori e realizzato dall’impresa
Edilpietro Srl e Murino Srl restauri d’arte.
Restauro Chiesa di Sant'Andrea a Maggianico (Lecco)
Dal notiziario della Comunità Pastorale Beato Serafino, "Comunità in Cammino", Numero 4 - Natale 2021
Restauro lapideo conservativo della superficie pavimentale – Chiesa Colleggiata del Naufragio di San Paolo – La Valletta – Malta
Il corpo principale del lavoro si trova
nella navata centrale della chiesa ed è costituito da 40 tombe poste a filo pavimento divise in 8 file in lunghezza per 5 in larghezza. Tutte le lastre sono tarsie marmoree con stemmi e scritte
relative a 40 nobili ed importanti famiglie maltesi differenti oltre alla tomba di un importante Vescovo maltese nella cappella laterale destra accanto all’altare (cappella di St. Joseph).
Quest’ultima è la più recente, risale infatti al 1891, mentre le tombe della navata centrale sono state realizzate dalla metà del 17° secolo in poi, la maggior parte riporta la data di
realizzazione incisa dal “marmista”.
Le lapidi sono costituite da tarsie marmoree policrome realizzate da migliaia di pezzi dette “foliette” inseriti ed incollati su una sottostante lastra detta “madre forma” realizzata in marmo
Bianco Carrara. Essa è di 60 mm di spessore e costituisce il contenitore del disegno marmoreo, con un bordo perimetrale che varia da 30 a 40 mm a seconda delle tombe. Al marmista che realizzò il
pavimento il bordo servì per portare le lastre allo stesso livello, quello del pavimento finale.
Le tombe riproducono vari disegni, spesso stemmi famigliari o rappresentazioni iconografiche tipiche del periodo storico che riconducono ai significati della Morte e della Resurrezione oppure
riportano celebrazioni delle famiglie importanti che hanno contribuito alla costruzione e alla decorazione dell’edificio ecclesiastico.
Le condizioni di conservazione del pavimento sono apparse ad un primo esame disomogenee in quanto alcune lastre tombali erano intatte ma sporche ed opache mentre altre, soprattutto nella parte
centrale della navata più percorsa ed utilizzata, erano sembrate molto usurate e mancanti di parti consistenti della tarsia marmorea.
Il secondo esame più dettagliato ha fatto registrare problemi anche maggiori, infatti l’usura e il tempo hanno deformato il piano della navata centrale che si presenta in parecchi punti molto
ondulato.
Inoltre la differente resistenza dei singoli marmi presenti ha creato notevoli discrepanze di quota contribuendo al distacco di molti intarsi ormai assottigliati, tanto che in alcuni punti i
pezzi presenti raggiungono lo spessore di 1 mm.
L’intervento realizzato è stato quindi complesso ed articolato, partendo dalle ricerche storico-iconografiche che permettessero di risalire ai disegni ed alle incisioni scomparsi. I ritrovamenti
tramite l’aiuto della Curia maltese di documenti e disegni degli stemmi di alcune famiglie hanno risolto alcune situazioni difficili ma non tutte.
Il passaggio successivo che ha fatto riscontrare un altro annoso problema è stata la reperibilità dei materiali mancanti che hanno oltre 300 anni.
Le ricerche non sono state affatto scontate ed hanno richiesto impegno e tempo a disposizione. Lo screening dei marmi presenti ha portato alla catalogazione di almeno 35-40 ceppi differenti di
rocce calcaree, a loro volta suddivise in altrettanti varianti di colore e venature per un totale di almeno 70-80 tipologie diverse di marmi.
Il 90% di essi sono italiani ed in pochi casi di diversa origine ed estrazione (Breccia africana, Rosso Francia, Rosso Languedoc e Broccatello Iberico).
La vicinanza alle cave di estrazione dei marmi italiani non è stato però di aiuto in quanto in alcuni casi risultano esse risultano esaurite, anche da molti anni.
La ricerca quindi è stata condotta presso rivenditori di marmi italiani o mosaicisti esperti che in magazzino potevano avere ancora pezzature di marmi ricavati da vecchi restauri oppure presso
rivenditori di marmi internazionali che sono cromaticamente e strutturalmente compatibili con quelli antichi. La maggior parte dei materiali sono stati reperiti a Pavia, Roma e Carrara.
Nei casi più fortunati in cui le cave sono ancora attive, a parità di struttura e consistenza, le cromie sono cambiate nel tempo e con esse anche la qualità delle venature. Si veda il Diaspro
siciliano, ancora splendido ma ora meno rosso rispetto a quello utilizzato nella chiesa e tendente al marrone.
Nel frattempo che si effettuavano i lavori di ricerca sono stati realizzati gli “spolveri” ossia il ridisegno a grandezza naturale cioè in scala 1:1delle parti mancanti delle tarsie su cartoni
preparatori. Tali disegni sono poi stati utilizzati per realizzare a mano o con macchine a controllo numerico che lavorano con getto d’acqua le varie “foliette”.
I pezzi realizzati con la macchina “waterjet” sono la minoranza dei casi, sono ad esempio quelli che a mano sarebbe stato decisamente complesso creare per essere identici all’originale ivi
presente.
Ogni “spolvero” ha previsto il ridisegno di almeno 30 “foliette” in media, con un caso di 3 pezzi e molti casi di 70/80 pezzi. In totale quindi le “foliette” rifatte sono circa 960.
Il problema maggiore di reperibilità e anche di sostituzione è stato riscontrato con il marmo Giallo Mori dal nord Italia e con il Giallo Antico dal centro Italia, presenti nel 90% delle tombe.
Essi sono molto simili.
Le parti gialle delle tombe sono risultate fin dall’inizio le più danneggiate perché fragile e poco robuste.
Inoltre le cave di questi marmi sono esaurite da almeno un secolo. Essi sono marmi di colore uniforme, il Giallo Antico è un po’ venato mentre il Mori è totalmente di un colore intenso. La
peculiarità di questi marmi è che al contatto con la fiamma cambiano colore e si arrossano come si può vedere nella foto allegata. Questa caratteristica fu usata dal marmista originale per
restituire panneggi e sfumature che sono stati ricreati anche durante l’operazione di restauro.
Nella ricerca dei materiali si è quindi dovuto tenere conto anche di questa caratteristica fondamentale in quanto in mancanza del materiale originale un marmo dello stesso colore giallo ma non
“fiammabile” non poteva essere utilizzato.
Riguardo alle incisioni, in alcuni casi la pulizia affrontata all’inizio con metodi corretti e poco aggressivi ha permesso di portato alla luce la colorazione a piombo originale che è stata
semplicemente ripulita.
La maggior parte però delle epigrafi non erano in piombo perciò il recupero è stato più difficoltoso. La scarsa profondità delle lettere e di alcuni segni incisi, dai bordi in parte rovinati per
abrasioni, rendevano difficile la lettura a vista di alcune parti delle tombe.
Le ricerche storiche e la comparazione con altre lapidi coeve presenti nella navata hanno consentito la decifrazione delle parti meno leggibili.
6 Settembre 2017
Quotidiano Nazionale - Malta
Giù pezzi di affreschi, via al restauro
San Marco: la cappella di Sant’Antonino
attendeva da anni una cura. I guai provocati dall’acqua
Sul pavimento e sull’altare della cappella di Sant’Antonino nella chiesa di San Marco ci sono frammenti di affresco: un pezzo si è
staccato dalla volta ed è finito a terra frantumandosi. «Sono stati la pioggia e il vento dei giorni scorsi» spiega padre Fausto Sbaffoni raccogliendo i resti. «Pazzesco» esclama Mario Mùrino,
mentre documenta con l’occhio del restauratore e la macchina fotografica l’ennesimo danno: non c’è più tempo, i restauri della volta non possono aspettare oltre.
Oggi cominceranno i lavori, attesi da anni. «La prima tappa sarà fare una copertura provvisoria, esterna, alla lanterna, da dove entra
pioggia». L’acqua, che filtra da feritoie, ha rovinato i materiali lapidei e cancellato grosse parti dei dipinti che decorano la cupola e che raffigurano scene della vita di Sant’Antonino
Pierozzi, arcivescovo di Firenze, che proprio qui riposa. La sua salma non sarà spostata durante i lavori, come richiesto dai padri domenicani e dai parrocchiani: verrà messa un’impalcatura a
protezione delle spoglie, che rimarranno visibili ai fedeli.
«Lo stato di degrado ha intaccato non solo pellicola pittorica ma anche il laterizio sottostante e quando si sfarina il laterizio è un
brutto segnale», spiega Mùrino, titolare dell’impresa che eseguirà i lavori, la Mùrino restauri d’arte, con sede a Milano e a Firenze. Lui è esperto in materiali lapidei, ha appena terminato un
restauro nella chiesa di San Paolo Naufrago a La Valletta, Malta, in cui ha risistemato 40 tombe ad intarsio sostituendo mille pezzi fatti con 50 tipi di diversi di marmi di secoli anni fa, di
cave che non esistono più, recuperandoli in vecchi magazzini. La cappella di San Marco fu commissionata dalla famiglia Salviati per ospitare degnamente le spoglie di Sant’Antonino (nella cripta
sono sepolti anche i Salviati). Fu iniziata nel 1579 su progetto del Giambologna ed è decorata da affreschi e tavole di Alessandro Allori, Giovanni Balducci, Giovan Battista Naldini, il
Passignano. «Ha una particolarità che la rende unica — spiega Mùrino — anche gli archi e il tamburo sono in materiale lapideo naturale, ovvero marmo di Carrara; di solito invece ci si fermava al
cornicione». Oltre al ponteggio esterno verrà portato all’interno un carrello per poter analizzare da vicino gli affreschi e tamponarli. Questi primi interventi saranno fatti in somma urgenza, in
primavera poi inizierà il restauro dei dipinti: in tutto i lavori dureranno due o tre anni. Gli interventi saranno finanziati dal Fondo edifici di culto del Ministero dell’Interno e dalla
Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze. «Prima di tutto abbiamo dovuto ricercare il proprietario della cappella e non è stato facile: la chiesa appartiene al Ministero degli Interni, il
convento alla Curia, il museo alla Soprintendenza», racconta Silvio Calzolari, docente alla Facoltà teologica dell’Italia centrale. È particolarmente legato a questa chiesa, non poteva accettare
che cadesse a pezzi, così insieme a padre Fausto si è mosso per ottenere autorizzazioni e cercare finanziamenti per i lavori, coinvolgendo Mùrino. «Sono anni che notiamo una pioggia di frammenti
dal soffitto, abbiamo fatto istanza alla Soprintendenza e alle autorità competenti, ma gli interventi da fare sono tanti e i fondi limitati. Questa cappella è un gioiello, finalmente verrà
restaurata».
Corriere della Sera - Ed. locale Firenze
Ivana Zuliani
A Milano riapre Palazzo Citterio restaurato. Prende forma il progetto della Grande Brera
Dopo un’attesa lunga 40 anni, riapre a Milano Palazzo Citterio inutilizzato da decenni. Un lavoro di recupero straordinario che, in soli due anni e mezzo, ha restituito alla città il palazzo
settecentesco che ospiterà le collezioni del Novecento della Pinacoteca di Brera. Siamo stati alla conferenza stampa ed abbiamo visitato gli spazi in anteprima.Solo 31 mesi dal giorno in cui è
stato presentato il progetto preliminare per il recupero di Palazzo Citterio, nel luglio 2014, al giorno in cui il palazzo settecentesco, finalmente restaurato, riapre le porte al pubblico pronto
ad essere restituito alla comunità. Un risultato straordinario in un paese come l’Italia che non ci ha abituato a tanta celerità. Certo il recupero di un’architettura importante, nel cuore del
quartiere Brera, era in cantiere da oltre quarant’anni, ma dopo decenni di discussioni su destinazione d’uso, risorse ed investimenti, la riapertura di Palazzo Citterio segna un successo enorme
di MiBACT, della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici e dell’amministrazione targata Beppe Sala.
LA CONFERENZA STAMPA
Con poche scarne parole è proprio il sindaco di Milano ad introdurre la conferenza stampa gremita di personalità della politica e della cultura. “Un giorno importante per la città di
Milano”, sottolinea Beppe Sala, “che attendeva questo momento da decenni. Con la riapertura di Palazzo Citterio prende finalmente forma il progetto della Grande
Brera e si anima un quartiere che fino ad oggi non aveva ancora espresso a pieno le sue potenzialità. Un passo importante per la città, per i milanesi e per i milioni di turisti che vengono a
visitarla, ma anche un modello per l’Italia intera”. Un lavoro lungo che ha visto impegnati su fronti diversi MiBACT, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici di Milano e
l’amministrazione comunale. “Dopo decenni di immobilismo, battaglie legali e destinazioni incerte”, racconta Caterina Bon Valsassina, per quattro anni alla
Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Lombardia ed oggi Direttore generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio, “sono riuscita a sbloccare il progetto di
riqualificazione dell’edificio settecentesco di via Brera, deputato all’ampliamento delle sale espositive della Pinacoteca e ai nuovi allestimenti per le opere del Novecento e a far partire il
progetto grazie ai 23 milioni di euro stanziati nel 2012 dal CIPE. Un’opera a cui sono molto legata, anche se non ho potuto seguire i lavori da vicino, dopo essermi dimessa da Responsabile Unico
del Procedimento del progetto “Verso la Grande Brera” perché diventava complicato seguire tutto da Roma”. E c’è spazio anche per un piccolo aneddoto folcloristico. “In un momento in cui
tutto sembrava bloccato, mi sono ricordata dell’usanza napoletana di utilizzare i corni come buon auspicio”, racconta la Bon Valsassina “ed ho quindi fatto inserire in uno dei muri del
palazzo un corno rosso che arrivava direttamente da Forcella, il noto quartiere popolare di Napoli”. Folclore a parte, è Marco Minoja, segretario regionale della
Lombardia, a fornire i dettagli della portata dell’intervento. “31 mesi sono davvero un lampo per un progetto così ampio”, sottolinea Minoja, “e rappresentano una storia esemplare di
rapidità. Ci sono state solo 3 brevi proroghe in questo arco temporale e il cantiere è stato ultimato praticamente nei tempi stabiliti. Un vero capolavoro dell’amministrazione pubblica e segno di
come a Milano avvengano piccole imprese straordinarie”.
UN PICCOLO GIALLO DURANTE LA CONFERENZA
Gremito il tavolo di discussione di tutte le personalità che hanno contribuito alla realizzazione del progetto. Oltre al sindaco Beppe Sala, Caterina Bon Valsassina, Marco Minoja, già citati,
hanno preso parte alla conferenza Ilaria Borletti Buitoni, sottosegretario del MiBACT, Carla Di Francesco, segretario generale del MiBACT, l’ex
ministro Lorenzo Ornaghi, Alberto Artioli, soprintendente, Amerigo Restucci, dell’Università IUAV di
Venezia, Giovanni Carbonara dell’Università La Sapienza di Roma e Antonella Ranaldi, soprintendente ai Beni archeologici, Belle Arti e Paesaggio
della Città Metropolitana di Milano. Con una mancanza abbastanza evidente: l’assenza al tavolo della conferenza di James Bradburne, direttore della Pinacoteca di Brera a cui
gli spazi sono assegnati. A domanda precisa della stampa è lo stesso Bradburne a prendere la parola e a spiegare. “Sono stato invitato a sedermi accanto alle altre personalità presenti”,
sottolinea il direttore della Pinacoteca, “ma ho rifiutato perché sono a Milano da soli due anni e non ho ritenuto giusto prendere le luci della ribalta accanto a chi lavora a questo progetto
da decenni. La Pinacoteca è parte integrante di Palazzo Citterio e svolgerà al meglio il ruolo di cui è stata investita appena gli spazi saranno consegnati”. Passaggio di testimone che
dovrebbe avvenire a giugno 2018, salvo imprevisti.
IL “NUOVO” PALAZZO CITTERIO
Un lavoro di ristrutturazione ampio ha coinvolto tutti i 6500 metri quadri di Palazzo Citterio che ritornano alla luce in una nuova dimensione museale ma nel rispetto della storia
dell’architettura settecentesca. Qui troveranno posto le collezioni del Novecento della pinacoteca di Brera, esposizioni temporanee, sale per conferenze e proiezioni, bookshop e caffetteria. E
poi un giardino, popolato da sculture, che si congiungerà con lo spazio verde dell’Orto Botanico e che garantirà un collegamento immediato tra palazzo Citterio e la Pinacoteca. Le collezioni
permanenti saranno collocate al piano nobile mentre la sala con soffitto a cassettoni in cemento armato, realizzata negli anni Settanta, ospiterà mostre temporanee ed eventi. Lo spazio interrato
sarà dedicato alla fruizione di opere multimediali. Un’architettura moderna, ma consapevole della propria storia, pronta a diventare uno spazio museale di respiro internazionale ed arricchire
ulteriormente l’offerta culturale di Milano che, in pochi chilometri, avrà il suo primo vero polo museale. Per festeggiare la conclusione dei lavori di recupero e restauro, è stata
allestita una mostra di fotografie di Maurizio Montagna.
Conclusi i restauri alla torre del Mangano «Simbolo ritrovato»
CERTOSA
Inaugurata la torre del Mangano, una delle porte d’ingresso all’antico Parco Visconteo, ora
completamente restaurata e messa in sicurezza. «Un bene architettonico di pregio e grande valore storico è stato restituito alla città», dice il sindaco Marcello Infurna, ricordando che
«l’inaugurazione si è svolta proprio nel periodo delle celebrazioni del centenario della fine della Grande Guerra perché all’interno è custodita la lapide dei Caduti di Certosa delle due guerre
mondiali».
i finanziamenti
L’intervento è costato 42mila euro, circa 20mila dei quali stanziati dalla Regione Lombardia
con un bando sui restauri, e altrettanti da Fondazione Cariplo, attraverso una coda di finanziamenti legati al progetto Emblematici minori. «Risorse che ne hanno consentito il recupero a costo
zero per il Comune», fa sapere il sindaco, sottolineando «come l’amministrazione, negli ultimi 4 anni, sia riuscita a ottenere, con bandi e finanziamenti, risorse per circa un milione di
euro».
la cerimonia
In tanti, e anche molti bambini e ragazzi, hanno voluto essere presenti alla cerimonia
inaugurale della torre. Nell’antichità, e fino agli inizi degli anni Trenta, era infatti torre del Mangano il nome di questo centro del Pavese. «Per questo, nel restauro, si è deciso di
conservare la scritta dell’antica dicitura – spiega Infurna – E’ una soddisfazione aver messo in sicurezza e riportato all’antico splendore uno dei simboli di Certosa, anche alla luce del
riconoscimento del Mibac sull’importanza del Parco Visconteo. E, visto l’interesse nazionale al territorio, sarebbe bene che la Regione prestasse più attenzione a questa parte del Pavese,
convocando un tavolo specifico e raggiungendo un accordo di programma».
L’intervento di recupero della torre realizzata nel XIV secolo ha riguardato il
consolidamento e il rafforzamento delle fondamenta. «Sono stati usati - spiega Infurna - materiali speciali, come resine che funzionano da collanti o malte cementizie. Si è provveduto alla
chiusura della fessure e dei giunti degradati e si è effettuata la pulizia dei mattoni.
08 NOVEMBRE 2018
La provincia pavese
STEFANIA PRATO
Restauri finiti, la cripta del Duomo «riconsegnata» oggi a tutti i fedeli
PAVIA. Riapre ai fedeli (e agli appassionati d’arte) la cripta del
Duomo, disegnata dal Bramante e chiusa per lavori di restauro che le hanno restituito dignità e splendore. Una meravigliosa opera architettonica che uno dei maggiori architetti del Rinascimento
volle suddivisa in tre navate, con poderosi pilastri a sorreggere ampie volte ribassate dove, questa mattina alle 7, verrà celebrata la prima messa dopo la riapertura.
Un progetto da circa 400mila euro, giunto quasi al termine. «Manca poco alla fine dei lavori, ma ho ottenuto dalla Soprintendenza alle Belle
Arti l’autorizzazione ad aprirla al culto», fa sapere Franco Mocchi, presidente della Fabbriceria del Duomo, l’ente che amministra questo prezioso patrimonio architettonico progettato nel 1488 da
un gruppo di lavoro di cui facevano parte Amadeo e Rocchi e diretto da Bramante, presenza determinante per l’impostazione della struttura della cattedrale di Pavia dove vengono anticipate alcune
tecniche architettoniche della basilica di San Pietro in Roma. La cripta bramantesca è un piccolo gioiello dalle linee severe, ora valorizzate dalla nuova illuminazione che ne sottolinea i due
grandi archi a sesto ribassato che scandiscono la navata centrale e ne evidenzia i piccoli aeratori, le linee architettoniche tracciate dietro ai grandi oblò e i marmi tornati a splendere. E che
mette in risalto le tre chiavi di volta della navata centrale.
«Il primo medaglione è dedicato a Santo Stefano, titolare della cattedrale estiva, il secondo ala Madonna, titolare di quella invernale,
mentre sopra all’altare c’è il medaglione di San Siro, primo vescovo di Pavia», spiega don Gian Pietro Maggi, il sacerdote che segue la parte liturgica del duomo dopo le dimissioni da parroco di
don Ernesto Maggi. Fu proprio don Ernesto ad avviare il recupero della cripta i cui pilastri, all’interno, custodiscono le scale di sicurezza in granito, sempre progettate dal Bramante, che
sbucano a fianco dell’altare maggiore, superbo con i marmi grigi e rosa che dalla cava di Candaglia vennero trasportati attraverso i Navigli e che ora splendono nella luce che si diffonde dai
grandi rosoni. «Il restauro è quasi terminato e permette di osservare un pregiato impianto architettonico - sottolinea don Gian Pietro -. Abbiamo ritrovato un luogo bello e accogliente che
favorisce la preghiera, facendoci apprezzare la prima opera innalzata a preludio della cattedrale». Il presidente Mocchi, ricorda poi che «sono terminati i lavori anche nella sacrestia della
cripta che metterà in comunicazione la struttura con il museo diocesano. La speranza è di vedere l’apertura del museo entro il prossimo giugno, al termine delle celebrazioni per i 530 anni dalla
posa della prima pietra». —
24 DICEMBRE 2018
La provincia pavese
STEFANIA
PRATO
Il Campanile di Tellaro risuona dopo 70 anni
Grazie all'intervento di restauro al Campanile, IGT ha restituito ai cittadini uno dei simboli di Tellaro insieme al suono delle campane di San
Giorgio, che sono finalmente tornate a rallegrare il borgo dopo 70 anni di silenzio. Scopri il progetto.
Lerici, frazione orientale, provincia di La Spezia. Una profonda insenatura bagnata da un mare turchese chiamato Golfo dei Poeti. In
questo angolo di Lunigiana si trova un luogo molto speciale: Tellaro. Per raggiungerlo non ci sono strade ma bisogna percorrere un'unica via panoramica che passa da Lerici, Maralunga
e Fiascherino, oppure via mare o attraverso uno dei sentieri immersi nella natura che collegano i borghi vicini al mare.
Da queste parti hanno trascorso le loro estati poeti e artisti innamorati dell'Italia: Percy B. Shelley, poeta romantico e marito di Mary Shelley,
autrice di Frankenstein, il dandy Lord Byron e la scrittrice George Sand ma anche il pittore Arnold Böcklin, il romanziere D.H. Lawrence, il regista Mario Soldati (che a Tellaro aveva
casa) e il poeta Attilio Bertolucci, alla ricerca di ispirazione e di quelle atmosfere che solo i paesaggi italiani custodiscono.
Incantevole borgo marinaro, considerato uno dei più belli in Italia, Tellaro è una
perla incastonata nella scontrosa costa ligure da cui si può ammirare Porto Venere. Eugenio Montale dedicò alla cittadina questo frammento poetico intitolato Verso Tellaro, uno
sguardo dal treno che fotografa la bellezza del luogo:
...cupole di fogliame da cui sprizza
una polifonia di limoni e di arance
e il velo evanescente di una spuma,
di una cipria di mare che nessun piede
d'uomo ha toccato o sembra, ma purtroppo
il treno accelera...
Eugenio Montale | Verso Tellaro
Tra le sue stradine, percorse da scale che salgono e scendono, si affacciano casette colorate che danno al borgo un aspetto pittoresco, immerso
com'è in una luce che incanta chi visita questo luogo, un concentrato di storia e di bellezze paesaggistiche uniche al mondo. La Chiesa di San Giorgio Martire e il suo campanile
rosa, quasi appoggiati sugli scogli, ne sono l'icona più celebre.
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Tellaro e la leggenda del Polpo Campanaro
Le prime testimonianze di questa cittadina, nata a scopo difensivo, risalgono al X secolo. La posizione strategica permetteva infatti di controllare
gli insidiosi attacchi militari provenienti dal mare, che a quel tempo erano pane quotidiano per gli abitanti costieri, e difendere Barbazzano, centro di produzione dell'olio d'oliva. Una
leggenda locale racconta di come, durante la notte del 14 agosto 1660, la vedetta di guardia si addormentò. Per fortuna, un polpo gigante vegliava sulla città. Conscio
dell'incursione imminente da parte dei pirati saraceni, capitanati da Gallo d'Arenzano, il polpo allungò i suoi tentacoli fino a tirare la fune campanaria della chiesa di San Giorgio e svegliare
i tellaresi, che riuscirono a sventare l'attacco. All'interno della chiesa, un'antica iscrizione ricorda le gesta dell'animale: "Saraceni mare nostrum infestantes sunt noctu profligati quod
polipus aer cirris suis sacrum pulsabat".
In tanti secoli il campanile ha dominato la scogliera, accogliendo i pescatori indaffarati nel vicino porticciolo di San Giorgio e accompagnando il
tramonto con il suo delicato riverbero rosa. Ma l'azione del mare, gli agenti atmosferici e l'usura del tempo lo hanno messo a dura prova, tanto che negli ultimi anni le campane hanno smesso di
scandire le ore e la struttura portante ha mostrato dei gravi segni di incuria.
Per questo IGT ha deciso di realizzare un restauro delle superfici del campanile e un consolidamento statico della struttura. Dopo
un'attenta analisi dello stato del monumento, sono stati fatti importanti interventi di risanamento che hanno riparato le crepe che lo rendevano fragile e consolidato l'intero edificio;
successivamente si è intervenuti ripristinando lo stato delle superfici interne ed esterne, eliminando le erosioni causate dai fattori atmosferici e dal mare, che avevano cancellato la
caratteristica pittura rosa esterna e avevano reso illeggibile l'orologio. Grazie all'intervento di restauro, IGT ha restituito ai cittadini e ai tantissimi turisti che provengono da ogni
parte del mondo uno dei simboli di Tellaro insieme al suono delle campane di San Giorgio, che sono finalmente tornate a rallegrare il borgo dopo 70 anni di silenzio. Ora non resta che andare
a visitarlo.
Presentazione Restauro Campanile di S.Giorgio - Tellaro (La Spezia)
In un clima di grande
commozione , ma anche di grande gioia ha avuto luogo questo pomeriggio nella Chiesa Stella Maris di Tellaro l'ultimo dei concerti
dedicati a Don Andrea Cappelli promossi dall'Unitre di Lerici. Dopo i saluti di Cesare
Battistelli che ha ricordato con parole toccanti la figura del giovane sacerdote, che ha lasciato un grande segno nel cuore di tutti nel suo pur breve apostolato alla Serra e a Pugliola, è stata
la volta di Don Federico Ratti ,che ha portato il saluto del Parroco don Federico assente
perché indisposto ed ha ricordato la sua amicizia con don Andrea
È intervenuto poi il Sindaco avv . Leonardo Paoletti che si è complimentato per l'iniziativa con il coro"Stella maris " , con l'Unitre e con la Parrocchia .
Il coro Stella Maris diretto da Monica Paganini ha eseguito brani della tradizione natalizia, accompagnati all'organo dal maestro Claudio Cirelli , mentre alcuni componenti dell'Unitre ( Eliana
Bacchini, Luciano Ghiggini, Alfredo Lupi, Michela Ceccon e Angela Bacchini) hanno letto brani e poesie.
La bella giornata, alla quale ha partecipato un folto ed attento pubblico, si è conclusa con la presentazione dello stato di avanzamento dei lavori del restauro della Chiesa di San Giorgio , che
è stato illustrato dal direttore dei lavori e dal responsabile della ditta che sta operando con metodologie e materiali innovativi .Al restauro ha contribuito il Comune di Lerici e tutta la
popolazione di Tellaro, unita e coesa , come di consueto, per il raggiungimento degli obiettivi della comunità.
Dopo anni di silenzio le campane restaurate e completamente automatizzate, torneranno finalmente a suonare per tutto il borgo.
Golfo dei Poeti - Il borgo di Tellaro è un angolo emblematico delle Liguria e della nostra provincia. Inserito tra i Borghi più belli d'Italia,
quest’anno in copertina della Guida del Club ed eletto dall’emittente statunitense Cnn tra i sette borghi più belli d'Europa, dal TGCom24 Borgo marinaro più bello d'Italia e consigliato tra
le mete da visitare in Italia dal magazine Forbes, rappresenta un angolo del mondo dove è ancora possibile compiere un viaggio nel tempo. Passeggiando tra gli angoli di questo capolavoro di
urbanistica ed architettura, si respira l’atmosfera che fece innamorare i poeti romantici come P.B. Shelley, lo scrittore inglese D.H. Lawrence, il regista Mario Soldati, il poeta Attilio
Bertolucci, che trovarono nel Borgo un vero e proprio rifugio in cui fermarsi e trovare ispirazione.
Gli spezzini lo sanno, i turisti meno. Qui storia e leggenda si fondono, giungendo dal mare il borgo fortificato e la Chiesa di San Giorgio Martire sembrano una nave pronta a salpare, i nonni
raccontano ai nipoti la favola del polpo gigante che salvò tutta la popolazione da un attacco dei pirati Saraceni avvertendo gli abitanti dell'imminente assalto suonando le campane della
Chiesa. San Giorgio Martire, dal caratteristico colore rosa pastello del paesaggio ligure è l'icona più significativo di Tellaro. Il complesso monumentale è stato edificato tra il 1564 e il
primo maggio 1584, giorno della consacrazione a luogo di culto da parte di Monsignor Angelo Peruzzi, utilizzando come abside e come campanile due torri demagogiche unite erette dai genovesi
attorno al 1300. La torre circolare più alta ospita il campanile che all'altezza della cella campanaria a sezione quadrata presenta quattro aperture voltate a botte che si ripetono, più
piccole, nel coronamento ottagonale abbellita da quattro pinacoli, con all'apice una sfera, e sormontato da un’artistica croce in ferro battuto in cui, al centro delle braccia, campeggia il
cristogramma J.H.S.
Il campanile della Chiesa è stato interessato durante il 2018 e il 2019 da importanti interventi di restauro delle superfici e dal consolidamento statico del corpo principale, indispensabili
per la conservazione dell’immobile costantemente sottoposto alle forze del mare. L'intervento è stato finanziato da Lottomatica, che da sempre sostiene progetti nell'interesse della
collettività. Il patrimonio artistico e culturale italiano è una risorsa e l'azienda se ne prende cura con responsabilità. “Domenica 30 giugno festeggeremo la fine dei lavori di restauro –
dichiara il Parroco Don Federico Paganini – assieme a tutta la comunità, i sostenitori e tutti i cittadini che hanno creduto nell'opera e si sono dati da fare per vederla realizzata”. “La
parrocchia è riconoscente a Lottomatica per aver generosamente sostenuto i lavori contribuendo così alla crescita culturale e alla valorizzazione e la conservazione del patrimonio artistico e
di fede cristiana” Tellaro è pronta ad affascinare i visitatori accogliendoli in un aveste completamente restaurata.
Dopo anni di silenzio le campane restaurate e completamente automatizzate, torneranno finalmente a suonare per tutto il Borgo.